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Arte e Cultura

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CARMUNU CARUSO



“Pueta di la Motta e forsi ‘ntisu”
1840 – 1914


Nella reminiscenza popolare, fu visto una volta ragazzino di appena cinque anni su di un'asinella.
Era diretto ad una fattoria che ospitava quel giorno una allegra brigata di nobilotti catanesi. Era stato invitato dal Barone perché allietasse i convenuti per quel Lunedì di Pasqua.
Una persona di servizio gli andò incontro investendolo con una quartina licenziosa preparata, al che il ragazzino rispose per le rime pungendo a fondo quel tale e i convenuti tutti.
Si annunziava un poeta rozzo, grossolano, plebeo?
Niente affatto! perché a nove anni si affermava anche fuori Motta, proprio a S. Giovanni Galermo in occasione di una gara poetica in onore del Santo Protettore.
Adulto, fu un uomo sommamente buono, dalla voce nasale che baciò sempre gli allievi quando amavano attaccarlo con rime, ma che non permise mai l'oltraggio o l'offesa. Certamente sarà degno di nota nella Storia della poesia dialettale siciliana.
Dico certamente perché egli, vive ancora in ogni casa di Motta con versi rimasti proverbiali.
Era visto alto, curvo, recitare ottave in presenza di appassionati dilettanti, di curiosi e di popolo. Meraviglia il fatto che potesse d'un fiato esporre in ottave componimenti tanto lunghi.
Era dotato di una forte memoria al punto che riprendeva quelle ottave recitate e le recitava esattamente Fra i suoi lavori abbiamo rinvenuto:


1)    Storia di S. Anastasia, in 82 ottave
2)    Storia di S. Giovanni, in 79 ottave
3)    Passione di Cristo, in 51 ottave
4)    Giuditta, 123 fra ottave e poche quartine
5)    I Dubbii, in 86 ottave
6)    I Quattru Elementi, in 57 ottave
7)    A Leva, in 210 ottave
8)    I Zappuliaturi, 94 fra ottave e quartine
9)    Storia du' scarparu, 87 quartine settenarie
10)    U consapiatti, quartine settenarie
11)    Struccioli, in ottave ed ottave sparse dettate in risposta ad altro poeta o presunto tale.

Se l'estetica bandisce ciò, cioè rispondere ad altro poeta, per il Caruso, poeta nato, l'ispirazione era atto di volontà, comprendendo il momento di odio o di amore. In massima parte si tratta di frizzi, lazzi, motteggi e ottave moraleggianti e talvolta licenziose.
La poesia popolare possiede due generi, per usare una vecchia classificazione scolastica: il lirico e il narrativo.
I componimenti prendono nome di canzuni, arii, muttetti, duri, liggenni, stoni, parti, cuntrasti. La carmina, è la più tipica e comune, è il nome siciliano dello strambotto. Essa si compone dunque di otto endecasillabi a rima alternata. Ordinariamente le ottave sono collegate fra loro dalla rima di una ottava in fine dell'ultimo verso con il primo verso dell'ottava seguente. Questo legamento il popolo chiama «Struccatura», a Motta diciamo «attaccu».
Il fenomeno di poeti illetterati, scrisse il D'Ancona, «si vede quasi soltanto in Italia e più particolarmente in Sicilia». E subito aggiungiamo che il pregiudizio che la poesia dialettale sia un'arte inferiore è superato. Di sfuggita diciamo che i criteri seguiti nella scrittura dei componimenti del Caruso non sono scientifici ma estetici.
Ignaro sul che cosa fosse la poesia o sul come si dovesse intendere, non potè mai interpellare personalità. Nella sua vita non si trovò mai a trascorrere vacanze nelle ville di Zafferana Etnea e potere ivi conversare con Verga o Capuana o altri chiarissimi docenti universitari del tempo, come ebbero modo di fare Guglielmino e Martoglio.
Non seppe mai se esistesse la critica e che cosa rappresentasse di fronte alla poesia e quanto questa deve a quella e quanto quella si onora di questa o quanto l'istrada.
Eppure da questo lungo incontro con collaboratori, risulta che Vìllaroel sentì più volte il Caruso mentre questi si trovava nelle sue proprietà per lavoro e che avvertì la spontaneità mista alla robustezza dell'ottava:

Comu di fatti lu munnu si trova
furnitu comu sta 'n pedi d'oliva
ca sempri spunta la pampina nova
jetta la vecchia e spugghiari no' rriva.
E na 'stu tempu la pianta sfova,
non s'abbannuna mai, sempri sta viva;
lu munnu è d'accussì, vistu a la prova,
ca la natura fa 'bbannuna e civa.


A questa ottava densa e immaginifica, il Vìllaroel commentò: «Sì, è vero, ...peccato che è un campagnolo!».
Quando un giovane universitario in lettere disse al suo professore Mario Rapisardi che a Motta esisteva un certo Caruso, quello volle conoscerlo, ma il campagnolo poeta per risposta disse:

« Cu' beni mi voli 'n casa mi veni »

discutibile proverbio nel mondo delle polemiche ma valido e vero per un uomo senza pretese, che non aspira a nessun alloro, anche se gli allori li danno gli uomini.
Rapisardi per stuzzicarlo, come si suol dire, gli spedì un biglietto con la scritta: « Fango sei!»
Al che, il Caruso rispose con una ottava che l'appassionato commenterà da sé:

Fangufu Adamu efangu semu tutti
e di fangufu nata la virtù;
è tuttufangu chiddu ca sighiutti
comu difangu fustifattu tu.
L'arvuli, Vervi, li sàuri e li frutti
ancora chissi tutti fangu su'
e si di fangu li terri su'asciutti
lu munnu speddi, nonfriquenta chiù.


Egli dunque visse solitario col suo popolo.
Il suo destino fu quello di imbattersi in versaioli di gran lunga a lui inferiori per spontaneità di rima, oltre che per creazione poetica.
Abitava proprio nella piazza principale di Motta, ove la moglie gestiva una piccola rivendita di generi alimentari e nei giorni di riposo veniva chiamato dalla folla per recitare qualcosa.
E il poeta «'stantaniu» era là, sul balcone, ad accontentare, perché chi vive in mezzo al popolo non può e non deve esimersi alle richieste di esso.
Per il popolo "poeta" equivale a «uomo saggio» che ha sempre qualcosa da dire di bello e di utile, in quanto il poeta ammaestra dilettando.
Il poeta catanese dialettale Scandurra lo chiamava «Maestro» e si esaltava parlando di lui e diceva che Caruso era «Ginuinu», cioè non «Tuccatu né da' camula e né da' rannula» alludendo a quei poeti che, oltre ad essere scopiazzatori delle cose altrui, scrivevano senza «Sintimentu».
Caruso era poeta del popolo.
Dico poeta del popolo in quanto ha impersonato il popolo nelle sue arguzie, nelle sue aspirazioni, nei suoi sentimenti, nei suoi odi, nei suoi amori. Per popolare si deve intendere: "che viene dal popolo", con tutti i difetti che può portare questa affermazione, ma con tutta quella verginità che è nelle anime appassionate, anche se incolte, come il nostro. La sua poesia è immediata.
«Pueta stantaniu» in quanto i suoi versi escono di getto, così come vengono suggeriti dal cuore nel momento stesso in cui parla.
Egli dopo aver pronunciate in pubblico le sue poesie le ripeteva ad uno che sapeva scrivere e fu così che si è giunti all'attuale raccolta.
Fra i rimatori del mio paese esiste una differenza fra «pueta 'stantaniu» e «pueta di tavulinu», cioè il primo è tutto là, nel suo momento di dicitura poetica, e, poeta l'altro che ritocca, ritorna su sé stesso, corregge, raddrizza, cioè uno che si studia per dare un verso più sonante e più conciso.
Poeta del popolo è il Caruso in quanto, oltre a ciò, condensa, sancisce con i suoi versi tutta quella saggezza popolare e secolare espressa soprattutto coi proverbi, mista alla bellezza che destano i suoi paesaggi campagnoli e le immagini della sua vergine fantasia.
Caruso è una voce vergine che si innalza sulla moltitudine dilettantesca perché animata dal soffio della poesia.
I suoi libri furono le albe, i tramonti, gli amori, le illusioni, i sogni, il bene, il male, il credo, il peccato, le massime, i proverbi, beninteso in chiave popolare, miste all'ingenuità e alla malizia: ricco di metafore e di traslati.
La sua poesia ha l'odore del pane di forno del quartiere paesano; non ha grandi cose da cantare, il suo orizzonte è la sua esperienza quotidiana, ma in esso, nella profondità, vive il mondo con i suoi cento colori, espresso con tanta bellezza e tanta forza: il binomio inscindibile del mondo greco-romano.
Fra i tanti poeti dialettali che m'è toccato leggere, mai tanta scioltezza di ritmo ho incontrato unita a tanta incisività.
Certo non mancano dei difetti, difetti che talvolta scaturiscono dalla sua incultura e tal'altri a causa della faticosa operazione per il rinvenimento di questa produzione.
Dire faticosa sarebbe poco se non aggiungessi paziente; lavoro di ricerca direttamente presso persone del popolo che hanno custodito quasi religiosamente certe ottave anche a memoria. Il tempo ha operato il suo lavoro, distruggendo Sa la freschezza e l'immediatezza dell'espressione; ciò dico perché si tratta di un poeta che non scrisse mai di suo pugno e che niente conservò mai.

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